La prima cosa che vi consiglio di fare una volta atterrati a Chicago (soprannominata the windy city) è quella di far visita al museo della Chess Records, leggendaria etichetta specializzata in blues, rock and roll e rhythm and blues.
La sua gloria è legata al decennio degli anni Cinquanta, periodo di massimo splendore per la musica blues, che grazie alla forte immigrazione di afroamericani in quel periodo, provenienti dal Sud degli stati Uniti, fece di Chicago un punto di riferimento per la musica black. La città a fine anni Quaranta era ancora spaccata in due: da una parte i ricchi bianchi e nella periferia ‘la feccia’ nera, che era fuggita dai campi di cotone in cerca di una vita migliore. Anche i polacchi Chess arrivarono in Illinois per lo stesso motivo, ma solo nel 1947 Leonard e il fratello Phil decisero che era arrivato il momento di sfruttare la musica del momento per trasformarla in business.
Prima di allora Leonard Chess aveva già aperto un negozio di liquori in periferia. I suoi clienti erano soprattutto persone di colore, che venivano ad acquistare birra da consumare durante le feste private, una volta usciti dai club per sola gente di colore. Fu in quel periodo che a Leonard venne l’intuizione di aprire un locale notturno, il Macuba Lounge, la mecca della musica jazz e della perdizione. La famiglia Chess si era trasferita a Chicago attratta dalla sua atmosfera dinamica e lo stesso fece anni più tardi anche il giovane Muddy Waters, che inizialmente lavorava come camionista. Conobbe Leonard grazie alle amicizie che si era fatto suonando nei locali notturni, a fine lavoro. Tra i due scoccò subito una scintilla. In un qualche modo erano simili e Chicago gli aveva solo dato l’opportunità di conoscersi. Fu loro il merito di trasformare questo incontro in un duraturo sodalizio musicale.
Muddy nel 1947 era ancora sotto contratto alla Aristocrat Records, etichetta che quell’anno acquisteranno i fratelli Chess, trasformandola in una casa di produzione per il blues elettrico, la Chess Records. Il passaggio dal blues tradizonale (country blues), suonato con strumenti acustici e armonica non elettrificata, a quello dell’ electric plus arrivò per ovvie necessità: il baccano dei locali affolati non consentiva agli ascoltatori di apprezzare la musica che veniva soffocata dal rumore. I musicisti non riuscivano a sentire la propria chitarra acustica e un bel giorno, il giovane e incazzato Muddy Waters decise che era venuto il momento di elettrificarne il suono. Pochi mesi dopo la Aristocratic Records pubblicava la leggendaria incisione di “I can’t be satisfied”. Fu l’inizio di una nuova era e la Chess divenne portavoce di un nuovo sound.
La prima uscita dell’etichetta Chess Records risale al 1950: “Rollin Stone” by Muddy Waters, un pezzo che ispirò una giovane band inglese a uscire allo scoperto con il loro blues sotto il nome di Rolling Stones. Questo avvenimento è spiegata anche in un video presente dentro al museo, in cui gli stessi Stones parlano del loro amore per il loro padrino musicale.
La Chess produceva ma alcune registrazioni avvenivano anche fuori sede, come nel caso della più piccola Sun Records di Memphis. Il 1952 fu l’anno di Little Walter, che conquistò Chicago con il suo brano strumentale “Juke” (1952), seminale per il concetto di armonica elettrificata. Pensate che Chess non era sicuro di produrre un pezzo senza voce, ma mentre lo ascoltava nel suo ufficio, fuori, un gruppo di donne si mise a ballare incantate dal quel sound distorto e ancora attuale. Pochi mesi dopo “Juke” era tra i singoli più venduti. Lo staff della Chess andava alla ricerca di talentassi artisti di colore fuori Chicago, tra le piantagioni di cotone di Georgia e Mississippi.
Etta James, Bo Diddley, Little Walter, Howlin’ Wolf si unirono all’etichetta e per ogni loro disco di platino Leonard Chess acquistava per loro bellissime Cadillac, la macchina che qualsiasi giovane americano avrebbe desiderato di guidare, simbolo di riscatto sociale e potere economico. A 70 anni di distanza dall’apertura di questa leggendaria etichetta, ciò che resta dei suoi fasti e della sua storia è un museo, di proprietà della fondazione intitolata ad uno dei maggiori writers di casa, Willie Dixon. A lui il merito di aver scritto pezzi memorabili, che hanno fatto la fortuna di artisti del calibro di Chuck Berry, Howlin Wolf e dello stesso Muddy Waters. Ad oggi il museo è aperto solo quattro ore al giorno, cinque giorni su sette. Una manciata di ore che non rende giustizia alla storia di questo luogo di culto per tanti amanti del genere. Fortunatamente, nel giardino estivo del museo, organizzano spesso live set di artisti emergenti e più noti. Un’occasione in più per entrare in contatto con gli spiriti che abitano ancora tra queste mura. Noi abbiamo avuto la fortuna di entrare e ora cercherò di darvi qualche informazione su ciò che abbiamo visto e sentito.
Intanto è bene sapere che il biglietto d’entrata costa 10 dollari e all’interno è comunque possibile scattare fotografia. Le sale del museo sono arredate in modo essenziale, con foto degli artisti di casa, i loro premi, abiti di scena e strumentazione d’epoca. Alcune delle registrazioni più importanti fatte qui dentro sono raccontate attraverso materiale audio e visivo, che viene proiettato in una piccola stanza al piano di sopra e che permette, attraverso materiale inedito e interviste, di ripercorrere i 20 anni di gloria della Chess. Uno dei miei brani preferiti è sicuramente la toccante ‘At Last’ di Etta James, una delle poche artiste femminili che vantava l’etichetta.
Con un pò di fantasia si può immaginare come fosse Chicago negli anni Cinquanta: una città ancora in parte malfamata, in cui trovò la morte anche il giovane Little Water, che aveva il vizio di mettersi nei pasticci. Lo accoltellarono dopo una rissa, in una via buia della periferia. Era il 15 febbraio del 1968 e la Chess perse il miglior armonicista che avesse mai avuto. Mentre Muddy Waters perse un amico, l’unico che sapeva tenergli testa nel bere Whisky e ‘fottere’ le più belle donne di Chicago.
La visita si conclude al piano terra dove si trova anche l’ex ufficio di Leonard, luogo che sentiva come una seconda casa. Purtroppo Chess fu costretto a vendere nel 1969, anno chiave per il passaggio musicale dal blues al rock (suonato anche da musicisti bianchi). Leonard cederà il marchio alla General Recorded Tape ma il suo cuore non sopportò quel duro colpo e a pochi mesi di distanza morì per un attacco cardiaco.
Quella della Chess è una storia irripetibile, che non smette mai di affascinare gli amanti della musica soul e blues. L’impressione che abbiamo avuto al tempo della nostra visita è quella di un luogo che potrebbe offrire ai turisti un potenziale maggiore (pensando alla visita alla Sun), vista l’importanza di questo landmark per la storia della musica a venire.
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CHESS RECORDS
Willie Dixon’s Blues Heaven Foundation
2120 S. Michigan Ave. Chicago
Tel (312) 808-1286
Lunedì-Venerdì dalle 10 alle 16 / Sabato 10- 14
Meglio prenotare per tempo la visita
Ingresso $ 10
www.bluesheaven.com